Capita spesso nei thriller che, giunto a fine carriera, il serial killer faccia di tutto per farsi prendere e dissemini di tracce la propria strada per aiutare l’investigatore a catturarlo. Anche il serial baller che occupa Palazzo Chigi ce la sta mettendo tutta per porre fine ai suoi giorni: in mancanza di qualcuno dall’altra parte in grado di eliminarlo (politicamente, s’intende), ci pensa lui. E si autodistrugge. Solo che gli altri non glielo permettono. E gli salvano la vita (politica, s’intende) anche se lui non vuole. Prendiamo le ultime mosse. Dopo l’emendamento-truffa per far saltare il referendum anti-nucleare e dunque far mancare il quorum agli altri due, i promotori denunciano l’imbroglio, mentre i suoi trombettieri dicono che è tutto regolare e che mai un galantuomo come lui imbroglierebbe gli italiani. A quel punto lui si presenta davanti alle telecamere e ammette: ma certo che era tutto un trucco, il giorno dopo i referendum riprendiamo il piano nucleare come se niente fosse. Cioè, vi sto fregando e vi spiego anche come, tanto nessuno farà nulla: il capo dello Stato firmerà pure questa legge con emendamento-truffa incorporato, la Cassazione casserà il referendum sul nucleare, il Pompiere della Sera esulterà perché si è evitato “lo scontro”, il Pd farà finta di incazzarsi per mezza giornata poi tirerà un sospiro di sollievo perché i referendum avrebbero consacrato Di Pietro, Grillo e Vendola. Ora, onestamente: ma che altro deve fare B. per far capire di essere un truffatore, se non dirlo apertamente in mondovisione? Non mente nemmeno più: appena racconta una balla, fa seguire la smentita incorporata, a prova di coglione. Che altro deve succedere perché il capo dello Stato gli rimandi indietro una legge-truffa che lui stesso pubblicamente ammette essere tale? Che aspetta il Pd a chiedere udienza al Quirinale con le altre opposizioni per difendere quel che resta del nostro diritto di voto da uno scippo dichiarato? Stessa scena sulla Libia. Lui fa di tutto per comunicarci che non abbiamo una politica estera, le alleanze le decide a seconda di come (e soprattutto con chi) si sveglia la mattina, tanto non gliene può fregare di meno. Un giorno bacia uno, un giorno non vuole disturbarlo, un giorno gli dispiace che lo bombardino, un giorno lo bombarda. Così, come gli gira. Se ciò non dovesse ancora bastare – come raccontiamo a pag. 3 – la sera in cui entriamo ufficialmente in guerra contro la Libia se ne va negli studi Rai dove si allestisce la scenografia del programma di Sgarbi, intrattenendo le maestranze e sperando in qualche gnocca di passaggio. Come ai bei tempi del Biscione, quando – scrisse Biagi – “se avesse avuto un filo di tette avrebbe fatto pure l’annunciatrice”. E c’è da capirlo: mica è un politico, è un impresario puttaniere per giunta imputato, ha cose ben più serie e divertenti a cui pensare. Sono 17 anni che cerca di farlo capire, ma gli altri niente: continuano a prenderlo sul serio e a lui tocca farsi due palle così con l’economia, la diplomazia, la scuola, l’università, le pari opportunità. Provate voi a vivere da mane a sera con Cicchitto, Bondi, Gasparri, Bonaiuti, Capezzone, Quagliariello che vi passeggiano sugli zebedei a quattro zampe coi tacchi a spillo. A sottoporvi a estenuanti sedute con Ghedini che spiega ad Alfano la differenza fra prescrizione e circoscrizione.A passare ore al telefono con Olindo Sallusti e/o Rosa Santanchè. A ricevere Belpietro a Palazzo Grazioli per allenarlo al talk-show serotino. A chiamare Scilipoti per magnificare le virtù dell’agopuntura, sennò quello si offende. A dar udienza a Giovanardi che rompe i maroni con la droga e la sacra famiglia, mentre vi aspetta una partita del Milan o una partita di mignotte in transito. A inventare sottosegretariati per i “responsabili” capitanati da tal Sardelli, già paroliere di Al Bano con testi del calibro di “Cos’è l’amore”. Ma si può vivere così? Chi può faccia un’opera buona: lo liberi. Serial baller: pubblicata da Maurizio Nacosaenantra Vona il giorno Venerdì 29 aprile 2011 alle ore 18.03 · Giovedì 28 aprile 2011 – Anno 3 – n° 100A cercar di capire cosa dice Bossi e cosa pensa Calderoli.
LA ROVINA DELL'ITALIA
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mercoledì 3 ottobre 2012
SERIAL BALLER di Maurizio Vona
martedì 10 aprile 2012
SI AL FINANZIAMENTO (NON PUBBLICO),
pubblicata da Minin Ladi il giorno mercoledì 11 aprile 2012 alle ore 4.59 ·
Il sistema di finanziamento dei partiti deve cambiare, ma detta così non significa nulla. Peggio: detta così aggrega al gregge sbandato dei capipartito senza partito, di chi parla senza pensare. Meglio far proposte concrete, come quella che segue. L’obiettivo da raggiungere non è mettere sotto tutela la politica, ma liberarla. Per questo la gran parte delle cose che si sentono appartengono al mondo dell’orrore, o, più semplicemente, della ruvida ignoranza.
Marcello Pera ha ragione: pensare di sottoporre la vita interna dei partiti all’iniziativa delle procure, e la loro vita economica ai magistrati contabili, è da sistema dispotico, come anche creare autorità indipendenti (e chi le nomina, se non quelli che hanno già lottizzato tutto il resto?) che controllino il prodotto della sovranità popolare. Ma si tratta di un dispotismo che non nasce dalla prepotenza, bensì dall’insipienza. Non si afferma con la forza, ma campa di debolezza. Il dibattito in corso è lo specchio fedele dell’ameba cui la politica è ridotta. Chiarito il punto di vista, veniamo alla proposta.
Il finanziamento pubblico dei partiti va abolito, non un soldo deve uscire dalle casse pubbliche per andare a tintinnare nelle associazioni private. Il finanziamento della politica è attività nobilissima, da cui dipende la vita stessa della democrazia. Quanti maneggiano soldi dei partiti meritano rispetto, perché sono motori di un sistema circolatorio che regge la libertà. Ma devono essere privati che maneggiano soldi di privati. Il finanziamento della politica deve essere affare dei cittadini, non dello Stato.
Quando i militanti finanziavano (sebbene in piccola parte) i loro partiti se ne sentivano anche padroni. Se la politica la finanzia lo Stato i cittadini se ne sentono estranei. Giustamente. Il finanziamento pubblico, inoltre, costituisce concorrenza sleale contro le nuove formazioni politiche, che partono svantaggiate. E’ importante, all’opposto, che i cittadini sappiano di potere fare e contare, anche solo versando dei soldi. Davanti a spettacoli deprimenti, alla domanda: che ci posso fare io? La risposta deve potere essere: aiuta chi si oppone, chi ha proposte diverse. La cosa vale in particolare per la borghesia guicciardiniana (adusa a ripiegarsi nel proprio particulare), come per la piccola e media impresa, che potrebbe contare assai di più (e sarebbe un bene) se solo pensasse d’avere un ruolo determinante, come l’ha nell’economia del Paese. I soldi pubblici scacciano le forze buone, per questo devono sparire.
E la trasparenza? Chi pensa che possa essere garantita da giudici contabili, che furono nominati dalla politica, è matto. Come mettere Paris Hilton a impartire lezioni di virtù in un collegio femminile: lo farà per rabbia, disperazione, per vendetta, dopo essere invecchiata, di certo non per vocazione. La trasparenza è figlia del conflitto: se i soldi te li da lo Stato io penso che siano spesi male, lui pensa che te li freghi e tutti e due non ci aspettiamo nulla; se te li do io voglio sapere che ne fai. Se regalo soldi a congreghe familiari è segno che mi piacciono quelle, e buon pro mi faccia, se li destino a forze politiche vere avrò avuto cura di controllare come funziona il controllore interno. E’ questo che porta alla trasparenza: l’interesse.
Così fanno politica e vincono solo i ricchi? E’ l’opinione dei poveri d’idee. I soldi aiutano, e in certe condizioni sono determinanti, ma in un sistema democratico sano con i soldi vinci una o due volte, dopo di ché o porti i risultati o il tuo avversario ti distrugge investendo cento euro, quanto basta per dire: cacciate l’incapace. Capisco, però, che occorre venire incontro al piagnisteo antiplutocratico, ben concimato dalla cultura italica, sicché ammetto anche il finanziamento pubblico, ma non in soldi: lo Stato paghi le sedi (in appositi edifici), i collegamenti internet, le linee telefoniche, gli spazi dove appiccicare i manifesti (così non li mettono sui monumenti) e gli spazi televisivi e radiofonici. Se non riesci a prendere voti neanche dopo che ti hanno ascoltato è segno che non hai nulla da dire ed è bene che tu vada a lavorare. C’è gente che non ha mai avuto tale emozione, nella vita. Aiutiamola.
Infine: con i soldi dei privati la politica diviene schiava dei loro interessi. Tesi suggestiva, ma poco seria: che c’è di male? Fa paura la politica inutile, non quella funzionale. Resta da stabilirsi se quegli interessi sono generali o minoritari, per giunta ai danni della collettività, nel secondo caso destinati a soccombere. Facile dire che non viviamo nel mondo (e nel mercato) ideale, ma sbagliato rassegnarsi al peggio per evitare il male.
Un tempo si finanziava la politica e si davano garanzie agli eletti per evitare che perdessero la loro libertà. Ora li si finanzia e protegge talmente tanto da averli ridotti a leccapiedi di chi compila le liste. Basta così, cambiamo.
Una parola al trio quirinalizio (Alfano, Bersani, Casini): lo facciano fare al governo, per decreto, e neanche i familiari si ricorderanno più la ragione della loro esistenza.
Sì al finanziamento (non pubblico)
Scritto da Davide Giacalone
martedì 10 aprile 2012
http://www.davidegiacalone.it/
Pubblicato da Libero
LA FAMIGLIA Home, sweet home di- Alessandro Robecchi
- Alessandro Robecchi
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È andato in onda in diretta da Bergamo il funerale di Umberto Bossi.
Il primo in cui la salma recita il discorso. Bella cerimonia. #Lega
@AlRobecchi
Vecchia questione da risolvere una volta per tutte.
Un tizio cade in un fosso.
Si ride, e questo è umorismo.
Oppure.
Il tizio che cade nel fosso è una specie di guru, o santone, o dittatore che ha sempre negato l'esistenza dei fossi e ha trattato come coglioni chi ci credeva. Si ride di più, e questa è satira. Ecco.
Tutta la recente e recentissima letteratura (cioè i giornali) sulla Lega presa con le mani nel sacco riguarda questo: il bastonatore bastonato, il moralista immorale, il puritano con le braghe calate.
Insomma, quelli di «Roma ladrona» che fanno i ladroni anche loro. Ai piani alti.
Di più: a casa del capo supremo, e non è un modo di dire. Home sweet home.
Gemonio, interno giorno. La famiglia, quella che sulla cartelletta nella cassaforte del tesoriere Francesco Belsito («Tombolotto») si chiamava The Family.
Tutta una barzelletta. Lui, il capo supremo, mollato dalla prima moglie perché usciva con la valigetta dicendo che faceva il medico e invece andava al bar. Dottore, figurarsi. L'Umberto, quello che cantava «dentro nei dischi» (cfr: Jannacci) col nome di Donato. Poi agitatore e arruffapopolo.
Lei, la Manuela, coi suoi libri esoterici, magia, astrologia, mesmerismo e chissà che altro. Un figlio, Riccardo, che corre in macchina (Porsche, debiti, eccetera, paga il partito); un altro, Renzo, che tutta la vita resterà il Trota, col suo diploma farlocco, uno che conta sulle fette di salame che il papà si appone, padanamente, sugli occhi.
Gli fa vedere il libretto dell'università, ma tu pensa, e quello crede che il suo Trota (origine del termine: un delfino, ma pirla) abbia fatto l'interprete tra Silvio e la Clinton. Fantascienza.
Un altro pargolo, Roberto Libertà, che tira gavettoni di candeggina ai comunisti, e poi il più piccolo, innocente e dunque tacciamo, ma si chiama Sirio Eridanio, e vorrà pur dire qualcosa. Vicina di casa, la Rosi Mauro, detta «la nera», detta «la badante».
Posta dalla Manuela (siamo in pieno romanzo popolare, Liala dopo il quinto gin tonic) a guardia del bigoncio, inteso come Bossi Umberto.
Lo guida, lo accompagna, lo bada, appunto. Sarebbe la vicepresidente del Senato della Repubblica, per dire.
Una col sindacato che pompa soldi del partito, per quanto gli iscritti al Sin.Pa. siano meno dei pakistani biondi. Una con l'«amico» un po' poliziotto un po' cantante (unica canzone nota, «Kooly noody», che si legge «culi nudi», comunque, esprit de finesse), conosciuto quando faceva la scorta a Umberto e ora anche lui con contrattino al Senato-della-Repubblica-Italiana-l'Italia-chiamò! E vabbuò. Questo lo scenario.
Tutti intenti, tra le altre cosucce, a comprar diplomi e lauree con soldi del partito (oltre 350 mila euro) proprio loro, fieri delle canottiere working class e orgogliosi dell'ignoranza popolare, usi a calpestar congiuntivi - e purtroppo non tacendo.
Umberto Carnera
E la difesa è peggio dell'accusa. L'Umberto non sapeva, l'Umberto era raggirato, tenuto in ostaggio dal cerchio magico degli adepti pilotati dalla Manuela, questa Yoko Ono del Carroccio, diciamo.
E dunque scelga il suddito se è meglio un capo che traffica con cinica furbizia ladresca (à la Bettino, per capirci), o uno che non sa, non vede, non annusa, non intuisce.
Quella dei difensori più strenui è la difesa dei disperati: una specie di «ci appelliamo all'infermità mentale». Con il che si ammetterebbe, però, che negli ultimi otto anni (2004-2012) la politica italiana è stata in mano (anche) a una specie di minus habens, un pugile suonato buono per la propaganda.
Umberto Carnera, ecco. Le cene del lunedì ad Arcore, le sacre alleanze, le sparate propagandistiche, il dito medio, le pernacchie, i pugni vibrati nell'aria. Ma anche: i respingimenti in mare, il pacchetto sicurezza, il reato incivile di clandestinità, e altre nefandezze parafasciste.
Tutto in mano a uno che ora - ci vorrebbero far credere - non sapeva, non vedeva, non sentiva.
Tre scimmiette in una, insomma.
Ma circondata, la scimmietta, da furbetti di tre cotte. Il tesoriere che investe in Tanzania, qualche mefitico odor di 'ndrangheta che sa di riciclaggio, la segretaria («fedelissima», ahahah) che consiglia di metter via pezze d'appoggio per quando il gioco si farà duro.
Quelli che «abbiamo una banca» (Credieuronord) che però fallisce di brutto, e allora viva il Fiorani e il Fazio che gli salvano il culo.
E il villaggio padano in Croazia, fallito pure quello. E altre anime belle, come il Castelli Roberto (fu ministro della Giustizia, financo), uno che doveva controllare i bilanci, occhiuto verificatore, ma che alla stampa guaisce: «Belsito non mi faceva vedere i conti». Ammazza, che guardiano del faro!
Sul territorio
E poi, altra leggenda padana, la buona amministrazione.
Perché il ritornello, ora che la diga frana e tutto travolge, è che «amministrano bene sul territorio». Altra clamorosa scemenza che è lì da vedere.
Come per il sesso, che più se ne parla e meno se ne fa, il territorio: stessa cosa.
Con 'sta parola che ricorre come un mantra, il territorio, il territorio. E poi vallo a vedere sto territorio padano, cemento dappertutto, capannoni come se piovesse.
E quando piove davvero, poi, fiumi che escono il libera uscita, argini sopra il livello delle strade, case diventate villette e poi ville - attenti al cane, nel senso attenti a non investirlo col Suv - e laboratori diventati fabbrichette, e poi fabbriche, e poi fabbriconi.
Il famoso territorio che da una ventina d'anni questi campioni governano, sì, ma come?
Battezzando in padano i nomi dei paesi, sai che riforma. O inventandosi la parata medievale in posti che nemmeno esistevano non dico nel Trecento, ma nemmeno cinquanta o sessanta anni fa.
Barbari ripugnanti
Ora che l'inganno si svela, un po' di luce appare.
Primo raggio di sole: ma il padano vero, il nordico laborioso, il lombardo un po' calvinista con la sua etica del lavoro, cosa diavolo c'entra con questa marmaglia traffichina? Con le lauree comprate, coi macchinoni pagati dal partito, col gigolò che gorgheggia «Kooly noody», con la scorta di undici ceffi che protegge (ma non da se stesso) il Trota?
Non era dunque un esproprio quello perpetrato da questi magliari, esproprio ai danni di un'etnìa (?) intera che al 20, al 30 per cento ci è pure cascata? E ancora, per restare alla luce che emerge dalle tenebre leghiste, oltre alla beffa di figurare ladroni dopo aver gridato ladroni a tutti gli altri, cos'hanno prodotto 'sti campioni della pulizia etnica? Federalismo? Zero.
Indipendenza? Peggio che andar di notte.
Meno tasse? Figurarsi! Più decentramento?
Manco per sogno. Insomma, il bilancio è sottozero, e in più si aggiunge a mo' di ciliegina, la storica figura di merda.
E non stupisce trovare tra gli orfanelli della Lega i grandi commentatori. I grandi esperti, e osservatori, e politologi, e strateghi della stampa che conta, che piangono la dipartita di questa forza «vitale e innovativa» che avrebbe dato al nord del Paese un'identità. Incredibile.
Come se posti che hanno prodotto Gadda, Montale, Olivetti, Fo e altri geni lombardi, avesse bisogno, per farsi un'identità, di un Calderoli, di un Borghezio. Il mondo alla rovescia.
Ecco, a loro, anche a loro, la Lega mancherà. E infatti già ne auspicano la rinascita. Magari attraverso quel Bobo Maroni che si propone come il nuovo, ma che per accreditarsi ai militanti deve ricordarsi vecchio, accanto al capo deposto mentre imbrattava muri e incollava manifesti.
Leghista di nuovo conio, «ma anche» (direbbe Veltroni) della prima ora, moderno ma anche antico, bossiano ma anche no.
Ministro dell'Interno capace di autoincensarsi ad ogni arresto di boss, ma incapace di sentir odore di marcio in casa.
Insomma, a dirla con l'antico linguaggio politico, democristiano sognante, ascendente furbetto.
Uno che grida: «Pulizia, pulizia, pulizia!» per ereditare il trono di Re Bolso, Umberto Primo della Lega. Parlandone da vivo, s'intende.
E al netto dei dané.
giovedì 1 marzo 2012
BURIANA
pubblicata da Bruno Nencioni Pardini -venerdì 2 marzo 2012 .
Sirene arrochite chiamano dal fondo,
proclamano ch'è giunto il temporale..
Il freddo impietrisce l'onde,
che sbattono e si scontrano compatte,
il vento l'alza su scogli e su murate,
tra spume scheletrite e tonfi sordi,
si dondola nel porto come a un ballo:
.si addossano le barche l'una all'altra..
Scricchiolano i pennoni verso il cielo
che al blu profondo ha preferito il piombo,
col turbinio di rena e delle foglie
che ottenebra la vista a pochi metri..
In un istante affila l'orizzonte
e al marinaio si accende la speranza,
quando un sole a pezzi
.s'infila prepotente in quella pozza.
Bruno
Si va a pesca
Indossa le sue vele la Tartana,
giacche vecchie di canapa e di lino,
tenute su da sagole e sartie,
messe in tiro sull'albero a traverso.
Veste il giallo, il bianco ed il leggero,
che il vento, col refolo insistente,
gonfia e muove girando a quadratura:
offre alla tela il pronto per il via.
Il sole semina lucciole nell'acqua,
e sbuffando l'onde dure va la prua,
ad inseguir la luce a tutta forza,
entre la rete a tastononi da la caccia
al pesce là nascosto a basso fondo.
Bruno
mercoledì 22 febbraio 2012
Pietro Ancona
La notevole ricchezza di Monti (un milione e mezzo di reddito annuo, 12 milioni di patrimoni o) ha una origine politica e scaturisce dalla militanza attiva del professore nell'ala degli intellettuali economisti liberisti che hanno compiuto l'operazione di fare diventare quasi senso comune le idee della destra economica
piuttosto che quelle della sinistra comunista e del solidareismo cattolico che in Italia per tantissim anni erano prevalenti e radicate.
Sono almeno venti anni che Monti ed i suoi amici bocconiani combattono la dura battaglia della "cattiveria sociale" che si basa su due fondamenti: meno diritti al lavoro dipendente meno welfare e privatizzazioni. Battaglia che lo ha condotto in alto prima Commissario in Europa per dieci anni ed ora Presidente del Consiglio.
Non c'è nulla tra i suoi redditi che non provenga dalla professionalizzazione della sua competenza di economista di destra iperliberista e rigidissimo sostenitore della libertà totale della impresa a scapito dei diritti anche esistenziali dei lavoratori.
Non è facendo l'impreditore o altro che si è arricchito ma facendo politica ed al servizio non dl bene comune ma del bene dei capitalisti.
giovedì 16 febbraio 2012
GIORDANO BRUNO
Maria Romano:
Il 17 febbraio 1600, Giordano Bruno moriva bruciato vivo sul patibolo dell’inquisizione romana.Costretto ad ascoltare inginocchiato la sentenza di condanna a morte per rogo,si alza e ai giudici indirizza la storica frase:«Maiori forsan cum timore sententiam in me fertis quam ego accipiam»(«Forse tremate più voi nel pronunciare questa sentenza che io nell'ascoltarla»).Dopo aver rifiutato i conforti religiosi e il crocefisso, con la lingua in giova - serrata da una morsa perché non possa parlare - viene condotto in piazza Campo de' Fiori, denudato, legato a un palo e arso vivo. Le sue ceneri saranno gettate nel Tevere.Domenicano, sedotto dalla Riforma senza aderirvi, Bruno non era né la prima né l’ultima vittima di quest’istituzione il cui scopo era quello di estirpare l’eresia, anche con i mezzi più terribili. Ma, agli occhi della storia, Bruno fu molto più di uno semplice eretico. Per la prima volta la chiesa cattolica romana eliminava fisicamente il partigiano di una teoria scientifica allora nuova in Europa: l’ eliocentrismo del sistema copernicano.Ciò che più conta, Bruno aveva pronunciato questa teoria corredandola con un’intuizione che doveva rovesciare la nostra visione del mondo: quella di un Universo infinito.Spingendo, attraverso scritti filosofici non sistematici, fino alle sue conseguenze estreme la sua adesione al sistema di Copernico, Bruno costruì così un cosmologia dove l’uomo, in comunione con un dio immanente alla natura, è, forse, il vero centro divino. E per questo perse la vita.
"Il 17 febbraio 1600 Giordano Bruno
preferiva immolarsi sul rogo che rinunciare al libero giudizio del suo intelletto e della sua coscienza.Nei tempi oscuri che viviamo, in cui tanti spiriti si piegano sotto il peso della materia, tradendo ogni dottrina e ogni filosofia, l'esempio di Giordano Bruno assurge a concezione di eterna e purissima fiaccola accesa al culto del libero pensiero.Vogliano gli uomini raccogliersi un istante in se stessi e purificandosi in quella fiaccola commuoversi all'idea che nulla in questa vita v'è di più grande che sentirsi liberi ed arbitri del proprio destino" —Condividi
martedì 14 febbraio 2012
Ho trovato l'anima gemella !!!!!! eheheh!
Pietro Ancona:
Il declassamento dell'Italia è un gioco di sponda con Monti per spingere molto di più sull'art.18 e chiedere un altro "pacco" di sacrifici ai lavoratori ed al ceto medio?
Ma è possibile che dobbiamo farci amministrare da uno che rende conto delle sue scelte non all'Italia ma al suo dante causa di WallStreet e di Washington?
La crisi viene acuita artificialmente per realizzare il "regno" del liberismo totale.
Il mondo dominato dall'alta finanza ( se aggiungo ebrea) sono antisemita?
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come ideale Prosecutore della loro opera illuminata.
E' molto in voga, tra i
governanti deposti,
lodare il governo Monti
Da Alfano al socialista (ah! ah! ah!) Cicchitto e addirittura alla Santanché, che avendo sentito dire che Monti è “di destra” se ne sente in qualche modo imparentata.
Il trucco è patetico, ma fa parte di quegli autoinganni che aiutano a tirare avanti quando i conti con se stessi sarebbero troppo dolorosi.
Basterebbe una lettura anche distratta della stampa del pianeta Terra per prendere atto che il cambio Berlusconi-Monti è vissuto, nel mondo intero, come un miracoloso ribaltamento: come se la Costa Concordia si raddrizzasse da sé sola, tirasse un muggito con la sirena e riprendesse la navigazione.
Niente – non lo stile, non gli obiettivi, non la velocità di esecuzione, perfino non l'aplomb dei maschi e delle femmine – rassomiglia, nel governo Monti, al precedente. Destra, per altro, significa poco, forse anche meno di sinistra.Di destra furono Mussolini e Einaudi, Almirante e Scalfaro.
Di destra è la Minetti e probabilmente il ministro degli Interni Cancellieri.Non solo non c'è nesso, ma c'è una cesura clamorosa, mai vista nella storia repubblicana, tra la destra di Arcore e quella che ne ha pietosamente rimosso la salma.
venerdì 3 febbraio 2012
di Vincenzo Zapparoli :
I militari sono dei poveracci come tutti noi che faticano a sbarcare il lunario .
Io sarei per raddoppiare il loro stipendio ; in cambio però chiederei loro di abbandonare il loro brutto nome per assumerne un altro.
Per esempio: 'ausiliari' , un corpo disarmato con il compito di difendere ed aiutare non la Patria ma la gente in difficoltà e il territorio che sta franando.
Oggi ai militari si insegna come ammazzare ed alcuni di loro poi sono così 'fortunati' da poter mettere in pratica gli insegnamenti , però non sul Carso come i nostri bisnonni a difendere i sacri confini , ma in Afghanistan, in Iraq e in altre parti del mondo per permettere ai capoccioni politici di seguire i loro feretri quando cadono sotto il fuoco nemico.
A proposito, avete mai visto un 'politico' seguire le bare di donne e bambini innocenti massacrati ' per sbaglio ' dagli alleati nei sopracitati paesi?
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Lentamente , ma inesorabilmente si arriva alla fine della strada. Speriamo, almeno noi, di aver fatto qualche cosa
di buono... .nel frattempo.
giovedì 2 febbraio 2012
DI VITTORIO ZUCCONI
Il tabernacolo vuoto
L’articolo 18 è, per molti, sacro come il tabernacolo è per i credenti.
Lo so, ci ho creduto anche io, ho scioperato per difenderlo e ne ho tratto, come tanti della mia fortunata e incosciente generazione cresciuta negli anni del boom, enormi vantaggi.
C’è un solo problema: quel tabernacolo oggi è vuoto e il sacramento che dovrebbe proteggere e conservare là dentro – il lavoro – non c’è più.
E i sacerdoti della chiesa sindacale sempre più vuota, dalla Camusso al bravissimo Landini, a tutti gli altri, lo sanno benissimo, ma non possono dire la verità ai fedeli, perché sarebbe come per il Papa dire che Dio non c’è.
Protesteranno, si agiteranno, lotteranno, si batteranno con ogni forza residua, resisteranno fino a quando potranno, ma negozieranno, perché non ci sono alternative reali che non siano chiacchiere da spettacolini televisivo, esternazioni da blog o cori da corteo.
Lo Statuto dei Lavoratori era stato costruito per un tempo che non c’è più e per un’Italia che s’illudeva di poter continuare a crescere ai ritmi della ricostruzione e dunque di avere il problema di dividere la torta più equamente.
E chi vi racconta di poterlo far rivivere è un truffatore che sa di truffare e che rimanda inutilmente (ma non per lui che ci guadagna sopra) la battaglia che si dovrebbe combattere, quella per creare più occasioni di lavoro.
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